domenica 8 luglio 2007

Pina Nuzzo, presidente UDI nazionale

50E50: il punto di non ritorno…


(Roma) Riceviamo e volentieri pubblichiamo sottoponendola alla vostra attenzione, questa riflessione della Presidente dell’Udi Nazionale, Pina Nuzzo, che ricorda: “Il punto di non ritorno si verificò nell’ottobre del 2005, quando la quasi totalità del Parlamento respinse in modo vergognoso il tentativo di incrementare la presenza delle donne, pur rimanendo nel regime delle quote rosa.

Ancora oggi, quando ci penso, non mi capacito dello spettacolo volgare che l’occhio impietoso delle telecamere metteva sotto i nostri occhi: la complicità tra maschi che si rinnova, a prescindere dagli schieramenti, quando c’è da far fronte comune contro le donne; l’impotenza delle donne elette che non riescono ad esprimere non dico una azione, ma almeno un sentimento comune.

Alcune piangono, altre dicono e non dicono attente a non dispiacere troppo i partiti di appartenenza.

Così in un attimo ho visto ripassare davanti ai miei occhi le discussioni infinite tra noi donne sulle quote rosa sulle quali, quasi sempre, sul fastidio e la rabbia, prevaleva il buonsenso: forse servono, forse sono utili, ci siamo dette per tanti anni.

Poi una si chiede: perchè? E la domanda non la faccio all’altro di cui conosco tutte le risposte. La domanda la faccio a me e a tutte, e soprattutto a quelle impegnate da anni in politica.

Tutte le volte che ascolto una donna raccontare le violenze che può subire per anni, quando è ancora viva per raccontarle, mi chiedo: come può accadere?

Come può accadere che una subisca così tanto pensando in questo modo di avere anche buon senso?

E come può accadere che un uomo possa farlo nell’impunità e nell’omertà più assoluta?

La risposta c’è e sta tutta nell’addestramento millenario che ogni donna impara succhiando il latte di sua madre che le impone di non avere pretese per sé.

E’ tanto se ti lasciano vivere.

Lo slittamento su un terreno che sembra così altro dalla rappresentanza è dovuto ad una altra domanda che mi faccio e vi faccio: come è potuto accadere che, pur partorendo tutto il genere umano, quando si deve decidere dell’umanità, solo una parte sia legittimata a farlo?

Anche qui la risposta giusta è la più semplice, perfino banale: accade perchè noi, in fondo in fondo, pensiamo che è giusto così.

Pensiamo che è giusto perchè per smontare questo meccanismo è necessario portare il conflitto uomo-donna alle sue estreme conseguenze e rinominare la civiltà in cui viviamo che di civile ha ben poco. E pur tuttavia rimane – per me – una delle poche forme di civiltà vivibile!

Ci siamo fidate e abbiamo creduto, dal ’48 ad oggi, che l’art. 51 - che i padri della patria pensarono, cedendo alla pressione delle donne che fecero parte della Costituente - prima o poi sarebbe stato attuato.

Quegli uomini furono magnanimi forse anche perchè si sentivano al sicuro: le donne avevano troppa strada da fare e troppi figli da crescere.

Quando la vicinanza delle donne è diventata pressante ecco spuntare il concetto di tutela, padre delle quote rosa.

Questo e tanto altro è quanto ho pensato.

Nel tanto altro ci metto anche alcune questioni politiche che ci hanno visto silenti o confuse in questi ultimi anni, proprio nella fase in cui noi dell’UDI stavamo cercando di riprendere in mano la nostra visibilità.

Non è cosa da poco stare dentro una tradizione per cui tutti pensano di conoscere questa associazione perché hanno avuto una mamma, una zia, una nonna, una vicina di casa che era dell’Udi, soprattutto qui in Emilia Romagna.

A noi è toccata una sorte curiosa, cominciata nell’82 e finita - mi auguro - nel 2002: quella di diventare trasparenti in due ambiti in particolare: il femminismo e la sinistra.

Noi siamo state come dei vetri a specchio per cui chi ci guardava vedeva se stesso mentre noi, dall’altra parte vedevamo gli altri.

Ha agito nella politica un giudizio precostituito secondo il quale era, e ancora è, superfluo interpellare le organizzazioni delle donne perché il “femminismo” è per definizione di sinistra.

E la sinistra, politicamente corretta per vocazione, quando si tratta delle donne include e neutralizza.

Quando questo avviene anche il “femminismo” ha almeno una responsabilità, quella di avere sovente parteggiato apertamente per la sinistra, a volte contro ogni convenienza, per l’urgenza di dare come risolto il conflitto uomo-donna.

Ci siamo appropriate dell’opera di mediazione delle donne prima di noi che ci ha permesso di avere leggi e diritti e a pensarci libere senza un reale riconoscimento di quella storia e delle donne che l’hanno costruita.

Non parlo dei tanti studi e dei tanti convegni, anzi in questi anni è stato un fiorire di riconoscimenti, parlo della responsabilità politica verso l’altra e verso la rappresentazione collettiva del genere.



La responsabilità è la condizione primaria per pensare la politica come luogo, come accessibile, come condivisibile.

In assenza della responsabilità prevalgono le appartenenze, l’essere appunto “di sinistra”. Anche noi dell’Udi siamo state in molte occasioni assunte, ma in tante altre abbiamo assecondato questa consuetudine, con un danno reciproco perché il giudizio precostituito priva noi di autenticità e la sinistra di un contraddittorio reale.

Ci sono questioni che non sono di destra né di sinistra perchè toccano le sfere più intime delle persone e farci trascinare sul terreno dei valori e delle culture è per noi devastante: perché finora tutte le battaglie così fatte la sinistra le ha anche perse e perché le donne non hanno guadagnato in prestigio.

Mentre, se il femminismo ha un merito, è quello di aver portato il disordine nel patriarcato e di aver costretto gli uomini a mostrare le loro contraddizioni. Il disagio che oggi essi avvertono non è un nostro problema, non sta a noi risolvere le loro esistenze. Non sono nostri figli in eterno e, prima di essere mariti o amanti, sono l’altro con cui coabitiamo questo mondo.

Noi vogliamo semplicemente rimettere al centro della politica la relazione uomo – donna e assumerci tutte le responsabilità di una democrazia paritaria.

Con l’iniziativa politica 50E50 ovunque si decide, di cui è parte integrante la presentazione del Progetto di legge sulle Assemblee elettive, noi dell’Udi sfidiamo gli uomini a confrontarsi con le donne, alla pari.

Vogliamo che non un solo genere, ma tutti e due i generi si assumano la cura dell’altro, che è cura dei corpi, delle relazioni e dell’ambiente.

Forse, se si impara fin da piccoli - bambini e bambine - che la manutenzione è compito di tutti, forse, il futuro di noi umani sarà meno angosciante.

Forse cominciando dalla manutenzione riusciremo a rifondare insieme il sistema democratico con maggiore rispetto delle persone e minore spreco delle risorse.

La modernità deve essere rinominata riposizionando i corpi delle donne e degli uomini, delle bambine e dei bambini, delle straniere e degli stranieri perché questo nostro tempo sembra moderno quando annulla ogni riferimento ai generi ottenendo solo un effetto paradosso: da una parte si affermano le “pari opportunità per tutti”, dall’altra la differenza sessuale viene tradotta in una rinnovata divisione dei ruoli.

Fino all’uso, all’abuso e alla schiavitù.

In nome del politicamente corretto si cerca di annullare tutte le differenze.

In nome del divieto di discriminazione il concetto di persona è usato solo apparentemente per la salvaguardia degli individui.

Nella realtà si persegue, quasi scientificamente, la mortificazione delle istanze di democrazia e uguaglianza che le donne propugnano in nome della cittadinanza duale.

Sul piano politico, noi pensiamo che la presenza paritaria dei due sessi in ogni contesto in cui “si decide” è il primo ineludibile atto per interrompere questo progressivo svuotamento di senso.

La campagna 50E50 ovunque si decide, per il suo intento politico, che è ancora più ambizioso della legge, non può essere terreno di contrattazione con nessuna parte politica.

Il nostro obiettivo non è un riequilibrio della rappresentanza per favorire le donne, come appartenenti ad un sesso svantaggiato e sottorappresentato, anche se noi sappiamo bene cosa è l’oppressione e cosa hanno comportato tante lotte per l’emancipazione, anche sul piano dei diritti.

A questo punto della storia, dopo avere smascherato la pretesa neutralità del diritto, il nostro sguardo è cambiato anche rispetto al diritto e ci siamo date l’autorità di dare finalmente titolo alla dualità che a partire dal Genere è condizione di base essenziale per una autentica universalità.

Siamo arrivate a pensare che ci era necessaria una legge, lo abbiamo fatto partendo dalla realtà delle nostre vite e dopo esserci chieste cosa fosse meglio per noi.

Non siamo giunte a questo seguendo un percorso di immersione nello studio del Diritto, quasi come un percorso lineare che sarebbe stato inevitabile: tutt’altro, abbiamo guardato oltre, chiedendo al Diritto di piegarsi alla Politica, come del resto ha sempre fatto.

Per questo motivo, poniamo molta attenzione nel trovare le parole giuste per comunicare la nostra campagna.

Perché vogliamo uscire dal gergo di quelle che si capiscono solo tra loro e… se non hai fatto il femminismo non puoi capire.

Perché vogliamo incontrare le donne fuori dai consessi politici per confrontare direttamente il nostro pensiero senza preclusioni e senza pregiudizi.

Siamo anche molto attente ai modi e alle forme con cui occupiamo lo spazio pubblico, perché la nostra Proposta di legge parla da sola, è chiara, limpida e comprensibile per chiunque la legga e che può quindi consapevolmente decidere di firmarla.

La questione dell’uso del linguaggio è determinante, per noi.

Specialmente oggi, quando tutto viene complicato intenzionalmente e il linguaggio usato nella politica istituzionale è sempre più autoreferenziale, non viene usato quasi mai per comunicare realmente, ma tutt’al più per creare consenso.

Vogliamo che in ogni contesto in cui si decide i sessi siano presenti paritariamente, non per dare rappresentanza, nel senso tradizionale del termine, anche delle donne, ma rappresentazione adeguata ad entrambi i generi.

Pensiamo che questo assunto trovi conforto in un concetto rinnovato e finalmente compiuto di uguaglianza e che l’art. 51 della Costituzione, riletto in questa ottica, possa consentire di introdurre parole nuove nel diritto, come cittadinanza duale e democrazia paritaria, che non sostituiscono, non arrivano come aggettivi per “aggiungere” né specificano diversamente l’uguaglianza, piuttosto consentono oggi di dare senso pieno alla stessa uguaglianza.

Le donne non sono uguali agli uomini.

Gli uomini non sono uguali alle donne.

Né vi potranno mai essere leggi per “renderle” tali.
Lo sono però “davanti alla legge”.

Quindi, la loro differenza nella compresenza, in condizioni paritarie, fa l’uguaglianza. Consente cioè all’uguaglianza, alla cittadinanza e infine alla stessa democrazia di essere realmente tali”. Pina Nuzzo (Presidente Udi Nazionale)
http://www.deltanews.it/ (Delt@ Anno V°, N. 156 – 157 del 6 – 7 luglio 2007)

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